Ormai da un lustro viviamo nella Grande Crisi Globale. Soprattutto in Europa i governi sono impegnati a individuare nuove strade per invertire la rotta verso il declino e ripartire verso un futuro diverso. E metamorfosi è la più efficace parola guida nel tempo della crisi. Non siamo, infatti, dentro una semplice – seppur drammatica – stagione di attraversamento, ma viviamo una crisi che richiede la metamorfosi dei sistemi ecologici, culturali, economici, sociali e politici per uscirne diversi da come vi siamo entrati. E la metamorfosi dovrà essere soprattutto urbana, perché siamo nella Urban Age in cui più della metà della popolazione abita e lavora nelle città, con valori che in Europa hanno già superato l'80%. La città come forma prevalente dell'abitare, quindi, viene investita della "responsabilità" di essere generatrice di stili di vita innovativi, più sostenibili, intelligenti e creativi, capace di produrre la spinta innovativa che ci faccia uscire dalla palude del declino. Il ritorno della qualità urbana al centro dell'agenda pubblica europea appare sempre più come una delle soluzioni più efficaci per riattivare i meccanismi di sviluppo, superando sia il paradigma della crescita senza sviluppo che quello dell'austerità senza prospettive per sostituirli con il paradigma della generazione di nuovi valori urbani.
La crisi strutturale entro cui siamo avviluppati da più di un lustro chiede di essere affrontata, non solo come una messa a punto dei modelli di sviluppo consolidati – che hanno generato la crisi – ma soprattutto come occasione fertile per una radicale metamorfosi dei protocolli di sviluppo, dei modelli insediativi e dei processi produttivi. Mentre in Europa molti paesi hanno avviato con decisione la revisione sia della architettura istituzionale che dei modelli di sviluppo locale, in Italia le politiche di governo del territorio hanno attuato interventi palliativi, quando non addirittura pro-ciclici rispetto alla crisi. Soprattutto nel Mezzogiorno, i territori rurali in declino, le città sfigurate dal degrado, e l'imprenditoria manifatturiera locale sgretolata dalla crisi economica hanno tentato azioni propulsive che hanno simulato una parvenza di vitalità, di rigenerazione urbana, di riattivazione del sistema economico. Ma all'esaurimento dell'effetto immediato dell'azione pubblica, i territori rigenerati tornano a essere desolanti luoghi del declino. In questo scenario, l'unica strada efficace è il ritorno a un'etica della responsabilità della selezione e della valutazione, alleata con un'etica del risultato e non solo del processo. E sono proprio le Città Metropolitane – nella nuove configurazioni in corso di elaborazione – a costituire importanti selettori di risorse, potenti generatori di ricchezza, efficaci attivatori di opportunità di lavoro e di crescita della produttività, ma solo se in grado di agire come propulsori creativi e sostenibili delle rispettive economie nazionali e regionali. Le analisi delle agenzie internazionali mostrano un ruolo trainante dei sistemi metropolitani rispetto ai contesti di appartenenza, realizzando un differenziale positivo del loro PIL, attraendo popolazione, generando economie da agglomerazione, offrendo i vantaggi della specializzazione e quelli della diversità dovuti alle maggiori dotazioni di capitale (umano e fisico). Tuttavia nelle medesime città metropolitane si concentrano alti tassi di disoccupazione, fenomeni accentuati di esclusione sociale, elevati indici di criminalità e soprattutto insostenibili costi di congestione.
Abitiamo un "pianeta urbano" in cui più della metà della popolazione vive nelle città, con valori che in Europa raggiungono l'80%. Il consolidamento della città come forma prevalente dell'abitare il mondo ne assegna sempre più il ruolo di growth machine dello sviluppo, motore dell'evoluzione e del dinamismo delle comunità, generatrice di stili di vita innovativi. Le città si propongono come potenti attrattrici della popolazione non solo dalle zone rurali, ma sempre più dalle altre città ed un poderoso flusso di "classe creativa" le attraversa e ne alimenta la rigenerazione e la competitività. La città creativa diventa icona della contemporaneità, retorica ricorrente per disegnare visioni, definire politiche e guidare progetti e sono sempre più numerose le città – con una rapida crescita nei paesi emergenti – che mirano a dotarsi di cultural hub in grado di renderla più vivibile e maggiormente attrattiva e dinamica. Oggi il paradigma della città creativa chiede un ulteriore salto evolutivo – il terzo – perché sia capace di continuare a produrre gli effetti moltiplicativi e rigenerativi sullo sviluppo urbano. La Città Creativa 3.0 non si limita ad essere una categoria interpretativa degli economisti e dei sociologi (la prima generazione), o una retorica del progetto urbano (la seconda generazione), ma chiama all'azione i decisori e chiede un vigoroso impegno politico e progettuale poiché solo sulle città che affronteranno creativamente il global change finanziario si misurerà lo sviluppo delle nazioni e il benessere delle comunità. Un impegno indifferibile per governanti e gestori, pianificatori e progettisti, promotori e comunicatori, imprenditori ed investitori sarà quello di creare città che siano luoghi desiderabili dove vivere, lavorare, formarsi e conoscere, luoghi produttivi ed attrattivi per gli investimenti. Nella terza generazione della città creativa nuovi fattori competitivi sono la Cultura capace di attivare le risorse sia identitarie che innovative, la Comunicazione come potente strumento strategico e la Cooperazione in grado di stimolare la comunità ad un processo di corresponsabilizzazione. L'impegno per il progetto della nuova città creativa è chiaro: passare dalla città passiva "attrattrice" dei lavoratori della conoscenza alla città creativa "produttrice" di nuova identità, di nuove economie della conoscenza ma anche di nuove geografie sociali. Occorre passare da una visione della città creativa essenzialmente finanziaria in cui si attraggono investimenti da capitali prodotti altrove ad una visione progettuale in cui la creatività genera nuovi assetti, morfologie ed attività produttive alimentate dalla neo-borghesia dei flussi e delle reti. Potremmo definirla la Città CreAttiva per sottolinearne le capacità generatrici di soluzioni, catalizzatrici di culture e motrici di economie.
Gli aspetti strutturali della attuale crisi devono essere affrontati come una metamorfosi dei protocolli di sviluppo, e le conseguenti soluzioni messe in campo devono essere sempre più interconnesse, richiedendo costanti sforzi di comprensione unitaria e chiamando ad una nuova alleanza tra politica ed economia, tra cultura ed ambiente, tra tecnica e società. La crisi ci obbliga a selezionare i capitali dello sviluppo, a riprogettare i percorsi, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno e di compartecipazione. La crisi diventa così occasione reale di discernimento e di nuova progettualità, poiché essa ha ormai travalicato i confini settoriali, ha tracimato dagli argini finanziari in cui abbiamo tentato di richiuderla al suo apparire per travolgere il nostro stesso stile di vita, richiedendo pertanto una risposta di ampio respiro che coinvolga i paradigmi di sviluppo e gli stili di vita, che ripensi l'economia e la politica e rinnovi il dominio dell'etica, sia pubblica che privata.Le arene in cui si dovrà combattere per affermare un rinnovato "Progetto Sud" sono tutte attraversate da una costante: la necessità di possedere tra gli strumenti per vincere le sfide da esse poste il rafforzamento del "capitale sociale", cioè quel capitale ibrido formato dai capitali umano, intellettuale, cognitivo, relazionale, creativo e politico. La carenza di capitale sociale in termini di una cultura condivisa che limita i comportamenti opportunistici favorendo la cooperazione è una delle criticità da superare con coraggio per affrontare le sfide che attendono il Mezzogiorno. La ricostruzione del capitale sociale richiede di agire non solo attraverso un processo diffuso di responsabilizzazione e consapevolezza del ruolo che sappia agire in maniera verticale su tutte le stratificazioni della società, ma anche potenziando il tessuto comunitario, e restituendo sogni alle nuove generazioni e ambizioni a quelle più mature attraverso la concretezza del progetto di territorio. Al rafforzamento del capitale sociale dovrà naturalmente corrispondere un nuovo patto sociale tra i cittadini meridionali, ma anche tra Nord e Sud. Ripensare il Sud sotto il profilo del progetto, infatti, non vuol dire rinchiudersi nel locale, proteggersi entro nicchie identitarie perdendo il gusto dei grandi scenari e di contribuire alle traiettorie del futuro. Una vera autonomia che deriva dal federalismo delle responsabilità è basata su una crescita della cittadinanza da parte del Sud. L'autonomia non è un vessillo sotto le cui insegne ripararsi, ma deve essere un progetto politico che ambisca ad una ricostituzione del patto sociale tra Nord e Sud.
The failure of European development model based on financial protocols urges the need to "re-think capitalism" toward a greater spatial dimension and a different approach in the use/reuse/reduction of the capitals utilised in development processes. Especially in Mediterranean Europe we have to restart from urban capitals (space, identity, quality, service and production) using them as renewed engines of sustainable growth (RE-IMAGINE). In the global change scenario, the shrinking city produces several urban "fragments", functional "chips" and "scraps" of development that, through a recycling process/project, can be brought back into urban infrastructures for new cycles of life (RE-CYCLE). They would be capable to generate new urban and suburban landscape based on abandonment, disposal, de-rating or change of use of urban settlements in a new urban renewal perspective. The field of my paper will cover both living and manufacturing issues, and logistic and military ones, working not only on material assets but also on intangible assets linked to identity resources in areas that can be recycled to produce a new "urban software" (RE-LOAD). The "ethic of responsibility" and the "aesthetic of innovation" in planning requires not only to ensure ecological sustainability of the settlements, but also concrete actions for a creative re-cycle of resources degraded by human activities, by re-activating their latent or potential values excluded from a "debit driven" development, and re-loading their full involvement in the project of the future of local communities in a renewed alliance with the cities.
Metamorfosi è una potente parola-guida della contemporaneità. E' un impegno di cui numerosi segni ci facevano intravedere la necessità durante gli anni propulsivi della globalizzazione e molteplici indizi tracciavano la strada da percorrere. Ma, anestetizzati dalle aporie dello sviluppo, li abbiamo ignorati, emarginandoli nella ecosofia o reagendo in modo impulsivo con seducenti inni alla decrescita felice. Oggi invece gli anni recessivi di una crisi che non è una semplice stagione di attraversamento ci chiedono la responsabilità di un mutamento di paradigma che conduca alla metamorfosi ecologica, culturale, economica, sociale e politica. Ma il mutamento sarà soprattutto urbano, perché viviamo nella Urban Age in cui le città, forma prevalente dell'abitare, producono più del 50% del Pil globale, ma consumano anche il 90% delle risorse, producono l'80% delle emissioni di CO2 e domandano quasi l'80% del fabbisogno energetico nazionale dei paesi Ocse. La città al tempo della metamorfosi non solo dovrà essere una rinnovata growth machine, ma ha la responsabilità di essere generatrice di stili di vita più sostenibili, perché più intelligenti e creativi. Le città del futuro se vorranno rinnovare il patto sociale tra popolazione, territorio e sviluppo dovranno essere creative, smart and green ripensando il proprio ruolo di propulsori del mutamento.
Metamorphosis is the new and powerful keyword in time of crisis. We are not undergoing a mere -even though dramaticpassing situation, but we are living in a crisis which requires a metamorphosis of the ecological, cultural, economic, social and political systems to get out of it other than we were when entering it. The metamorphosis will have to be mainly urban, because we are now in the Urban Age in which more than half the population live and work in cities, at levels exceeding 80% in Europe. The city, as the predominant form of inhabiting, is invested with the "responsibility" of producing innovative, more sustainable, intelligent and creative life styles, able of generating the innovative propelling force which can make us emerge from the quagmire of decline.
Abbiamo già sostenuto che la rigenerazione dei waterfront urbani non è più alimentata dalla redditività del mercato immobiliare o dagli investimenti dei fondi speculativi, ma una città-porto più creativa deve essere in grado di offrire reali opportunità per uno sviluppo che sia capace di produrre effetti congiunti sia sulla valorizzazione dei beni comuni sia sull'incremento dei settori produttivi. In questo scenario agisce il Progetto di cooperazione internazionale tra Italia e Malta denominato "WATERFRONT" orientato a definire "politiche territoriali per l'integrazione dello sviluppo multisettoriale delle zone costiere", il quale mira ad esplorare la rigenerazione dei waterfront con modalità diverse da un approccio semplicistico alla riqualificazione delle aree costiere urbane o peri-urbane. Il Progetto, infatti, è stato condotto a partire da una consapevolezza, definita come il Teorema del Waterfront: "il waterfront non esiste senza il suo contesto ambientale, urbano, economico, culturale e sociale. Dunque la nostra sfida è quella di pianificare, progettare ed amministrare la metamorfosi verso la città fluida". ; We have already argued that regenerating waterfront is no longer profitable opportunity for real estate investments or for using the financial capital gains of sovereign funds, but a more creative port city has to provide precious opportunities for quality development that is able to produce effects in both the domain of common goods and that of productive sectors. In this scenario acts the international cooperation project between Italy and Malta called "WATERFRONT" (as acronym of Water And Territorial policiEs for integRation oF multisectoRal development). The Project aims to explore the field of waterfront regeneration in a different sense from the simple concept of urban or peri-urban coastal areas. And the Project is led by an assumption, defined as the WATERFRONT Theorem: "doesn't exist the waterfront without its environmental, urban, economic, cultural and social context. So our challenge is to plan, design and govern the metamorphosis towards the fluid city".
Riattingendo alla sua storia il Mediterraneo deve tornare un grande mercato di beni e servizi, idee e tensioni etiche, visioni politiche e ambizioni sociali. Un grande spazio in cui riconnettere in un grande progetto politico capitali reali capaci di alimentare un nuovo modello di futuro: il capitale territoriale delle qualità, culturale delle identità, umano delle capacità, sociale delle comunità, produttivo delle competitività e finanziario delle fiscalità. Il terreno siciliano deve essere arato con nuovi strumenti e seminato con sementi di qualità, protetto dai venti ma anche alimentato dalla volontà della speranza.Il 2011 è stato l'anno delle celebrazioni dell'Unità del Paese e, come si è potuto registrare nel corso delle manifestazioni che si sono succedute, è stata l'occasione per riflettere sullo stesso processo unitario ma, soprattutto, sulle ragioni per ricostruire e rafforzare il "patto costitutivo" di fronte alle spinte centrifughe – o peggio disgreganti – che segnano, talora artificialmente, la storia recente dello Stato, non sempre Nazione. L'occasione è favorevole per l'approfondimento dei motivi delle differenze di sviluppo ma anche per la ripresa di tematiche sulle quali la crisi complessiva del sistema Italia aveva messo la sordina. Di fronte all'agitata "questione settentrionale" è ritornata, con la drammaticità delle condizioni dei territori cui si riferisce, la storica "questione meridionale". Un ritorno che potrà essere foriero di risultati a patto che venga depurato della retorica e non sia ridotto al consueto rivendicazionismo meridionale che prescinde dai contesti di responsabilità che vi devono stare a monte. Al vento gelido che proviene dalle Borse mondiali e al torrido scirocco che soffia dalle piazze arabe alcuni oppongono un contrasto che si limita ad erigere muri che ne blocchino la violenza e l'impeto, rinchiudendoci entro mura che rischiano di diventare i nostri mausolei. Noi invece abbiamo l'ambizione di ritenere che al vento si risponde con i "mulini" dello sviluppo, incanalandone l'energia in un progetto, sfruttandone l'impeto e regolandone l'intensità, ma soprattutto trasformandolo in forza motrice dello sviluppo locale. Uno sviluppo locale che accetti la sfida della globalizzazione democratica, che non crei recinti ma anche che non diluisca le identità in una indifferenziata omogeneità. Difendere i capitali territoriali e governare i capitali urbani sono le sfide per il Paese in un'ottica che guardi ai valori, alle nuove generazioni, alle sapienze consolidate e ai talenti in formazione. Dobbiamo vincere la sfida per alimentare i talenti dei giovani, per rafforzarne le competenze e soprattutto riattivare i "magneti dello sviluppo" che ne contrastino il drammatico esodo che depaupera il nostro paese. Occorre affrontare queste sfide non sottraendosi ad una proposta che non sia frutto di ideologie obsolete o di pregiudizi sterili. Il terreno del futuro della Sicilia deve essere arato con nuovi strumenti e seminato con sementi di qualità, protetto dai venti ma anche alimentato dalla volontà della speranza. Queste riflessioni intendono esortare i protagonisti di oggi e i leader di domani a declinare i temi proposti a partire dalle tesi, ad individuare le priorità, a definire le agende della politica, dell'economia e della società per rilanciare un "patto di futuro" per il Mediterraneo.
Abitiamo, lavoriamo e ci muoviamo nella Urban Age, ed iI successo della città come forma prevalente dell'abitare non solo le assegna il ruolo di growth machine dello sviluppo, motore dell'evoluzione e del dinamismo delle comunità, ma la carica anche della responsabilità di essere un modello positivo - oltre che vincente - generatore di stili di vita innovativi, più sostenibili, intelligenti e creativi. Le città si propongono come potenti attrattrici della popolazione non solo dalle zone rurali, ma – con maggiore vigore in epoca di crisi – anche da altre città, intra-regionali o addirittura trans-nazionali, ed il flusso di capitale sociale che le attraversa può alimentarne la rigenerazione e la competitività a patto che venga opportunamente trasformato in risorse locali. Tuttavia, esaurita la prima fase in cui il dinamismo si identificava con l'insediamento di una classe creativa (Florida, 2005), oggi è necessaria l'evoluzione del paradigma, individuando i fattori reali che permettano alla creatività urbana di diventare da semplice attrattrice di risorse intellettuali a generatrice di nuove economie e creatrice di nuova città (Carta, 2011a). Se la città creativa è diventata icona della contemporaneità, visione-guida per definire politiche e guidare progetti, sono sempre più numerose le città che mirano a dotarsi di creative hub: luoghi, distretti o reticoli di servizi in grado di renderle più vivibili e maggiormente dinamiche e accoglienti, veri e propri propulsori di sviluppo.
Le riflessioni sul potere, sulle capacità e responsabilità di governo di una città attraversano i secoli e si intrecciano con la natura stessa della politica, dell'arte di governare le città come sintesi del potere di fare e della responsabilità di guidare. Discuterne oggi rischia di essere deformato dalle contingenze, dalla pressione delle criticità che caratterizzano la città contemporanea, dalle partigianerie dei modelli culturali. La serenità della distanza critica ci proviene da un manoscritto eruttato da qualche archivio della memoria, forse trascritto da attenti amanuensi, che riporta il dialogo tra un urbanista conservatore e un urbanista riformista sul potere di progettare e governare una città. È un manoscritto senza tempo e che attraversa i tempi, fornendoci indicazioni preziose sui poteri che si scontrano nelle città, sulla diatriba tra regolazione e condivisione, tra un potere gerarchico e uno distribuito, tra un potere di fare e un potere per fare. Dilemmi antichi che sono la natura stessa delle città e che ancora oggi ci consentono di riflettere sullo straordinario potere dell'urbanistica nel configurare città, fornendo una forma al patto di cittadinanza che le connota.
In current financial, economical and political crisis, with the progressive downgrading of the States and the world's GDPs dropping, the strong flows of financial, social and relational capital that powered urban regeneration over the last fifteen years are no longer available to be tapped in on in an indiscriminate manner as it seems was the case until just a few years ago. The most dynamic cities in the near future will no longer be those that are able to attract urban projects driven by the real estate market, or hedge funds, but the cities that have extensive cultural and identifying resources and that are able to use them as the basis for creating new culture and new urban value. Today, within the "smart cities" scenario, the paradigm of the creative city calls for a further evolutive leap forward – the third – because it is capable of producing multiplication and regeneration effects on urban development. The Creative City 3.0 is therefore no longer simply a category used for interpretation among economists and sociologists or an urban planning challenge, but rather calls on decision-makers to take action and demands a vigorous commitment on the part of town planners and architects, as the development of nations and wellbeing of the community will only be measured according to the cities that tackle the financial global change in a creative manner. The urban century in which we live is not filled by only "hyper cities", but also shows the emergence of medium metropolises and networks of micropolises. Especially in Italy, the network of the "innovative cities" is supporting by middle cities, the "small capitals" that produce alternative visions – founded in quality and powered by culture – to that of the explosion of megalopolises. One commitment that cannot be put off by governors and managers, planners and designers, promoters and communicators, entrepreneurs and investors, will be that of creating dynamic, vibrant cities that generate new urban values and multipliers of invested capital. These cities must be places people want to live, work, and train in and get to know, productive places that attract investments. In European vision, the evolution of creative cities towards a network of "smart cities" able to redefine the urban age identity, is founded on three competitive factors: Culture, Communication, and Cooperation. Inside this evolutive background, with an highly dynamic of change, it has become necessary to understand and evaluate how cities and territories are changing, convinced that it is not only necessary to recognize the role of the "creative agents" in the development of the cities, but also the commitment to this urban creativity being one of the primary factors in the evolution of communities and economic development. The city must once again become a powerful "generator of value" starting with its own spatial, social, cultural and relational resources, able to transform the global network in local resources.
Esistono molti modi di pensare al Sud, di parlarne e di agire per il suo sviluppo. Nel mondo contemporaneo il Sud è un campo d'indagine fondamentale, perché è lì che si verificano oggi i cambiamenti più significativi. Dallo scongelamento dei "tre mondi" successivo alla Guerra Fredda sono emersi i continenti globali dei Nord e Sud, poli di cambiamenti demografici, sociali, economici e culturali, producendo l'indebolimento di stati nazionali e l'affermarsi di istanze locali, di autonomie o di frammenti di pianeta. Ma non è del Sud mondiale che qui vogliamo parlare, ma del Sud che rappresenta la nostra arena del progetto di territorio: il Mezzogiorno d'Italia. Luogo geografico, ma anche culturale, sociale, economico e politico. Da studiosi e da pianificatori militanti vogliamo agire per un Mezzogiorno che assuma la consapevolezza di un ruolo cardine nello sviluppo dell'Italia e senta la necessità di cambiarne la struttura culturale, economica e politica per potere cogliere le opportunità di tale ruolo. Ed è da questa oscillazione feconda che vogliamo partire per offrire strade non solo alla riflessione politica, ma anche all'azione dei soggetti decisori, attori e attuatori e alla formazione della nuova classe dirigente e professionale meridionale. In un discorso sul Sud che voglia essere orientato all'azione politica e non solo consegnato alla storiografia, la specificità del Mezzogiorno non solo non va cancellata, abolita o separata, ma è la traccia decisiva per annodare i fili di una nuova soggettività, per scoprire, sulla scia di antiche rotte, la possibilità di convivenza futura, sapendo tessere reti culturali, produttive, educative e cooperative che rafforzino l'armatura identitaria del Mediterraneo come antidoto alla ripresa di un conflitto sterile, ancorché spesso sanguinoso, tra modelli, visioni e paradigmi. E' il cosmopolitismo mediterraneo la linfa antica a cui dobbiamo riattingere: è la forza evolutiva della contaminazione che dobbiamo rimettere in gioco, piuttosto che la comodità protettiva della segregazione. Dobbiamo rifiutare modelli evolutivi per interpretare il percorso della storia e rimuovere le colpe e le angosce che fanno del Sud una "terra del pianto", la patria del rimorso verso la mancata capacità di quella società di leggere e condividere le ragioni della modernità guidata dallo sviluppo del capitalismo industriale. Il Mezzogiorno deve mutare prospettiva, da una visione periferica e nostalgica tutta eurocentrica deve assumere la sfida del neocentralismo meridiano alimentato dalla attuale predominanza del Mediterraneo per i traffici con i paesi emergenti e dell'estremo oriente e dalla necessità dei paesi rivieraschi di contrastare il dominio mitteleuropeo. Una nuova politica per il Mezzogiorno deve proporre al Paese il suo ruolo di motrice della crescita dell'economia nazionale, rialimentando la spinta propulsiva impressa dal Nord e oggi anch'essa in declino. Il Mezzogiorno deve avere un progetto consapevole per essere una tra le più importanti piattaforme scientifiche, logistiche e produttive dell'Europa, agendo anche come leva dell'integrazione euromediterranea e capace anche di intercettare i flussi e le economie della green economy, non solo promuovendone l'innovazione, ma anche riproponendone la tradizione.
Nel secolo urbano che abbiamo di fronte, la città sarà lo scenario della competizione delle energie, delle risorse umane, delle intelligenze collettive e della creatività per la costruzione di un'evoluzione più compatibile con le identità e le vocazioni e più sostenibile rispetto alle risorse ed alle sensibilità del territorio. I segnali delle sue forme, delle sue relazioni e delle sue identità sono già evidenti in alcune città del presente ed ad essi sono dedicate numerose ricerche urbanistiche, sociologiche ed economiche. Ma i segnali sono evidenti e trasmettono ispirazioni e stimoli anche a chi osserva la città per mestiere di progettista, di pianificatore, di stratega dello sviluppo. Il XXI secolo sarà l'era indiscussa delle città e su di esse si misurerà lo sviluppo delle nazioni. Per la prima volta, più della metà della popolazione mondiale vivrà nelle città, in Europa oggi la cifra è già di oltre il 75%, e nei paesi in via di sviluppo raggiungerà velocemente il 50%. Il mondo si svilupperà sia attorno a grandi megalopoli da decine di milioni di abitanti, ma anche attorno a città metropolitane, a conurbazioni diffuse e ad armature di micropoli: all'armatura urbana delle città globali si annoderà, soprattutto in Europa, l'armatura delle città di secondo livello, produttrici di visioni alternative rispetto all'esplosione delle megalopoli. L'armatura urbana europea di secondo livello – le piccole capitali, sempre più città-porta – si delinea come annodata attorno a "città della cultura", nel senso di città non solo detentrici di risorse culturali profonde lasciate dal palinsesto della storia, ma anche produttrici di nuova cultura: le culture-based competition cities saranno, infatti, quelle città in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità culturale, sia consolidata che in evoluzione.
Nella nuova Era Urbana la città creativa ci si propone come uno scenario fecondo per l'innovazione dell'urbanistica e della progettazione urbana verso la capacità di guidare le profonde trasformazioni che le città stanno producendo come poderosi motori dello sviluppo. Le città più dinamiche del futuro prossimo – quella di cui stiamo già vivendo il prologo – saranno città creative, non solo detentrici di poderose risorse culturali, ma soprattutto produttrici di nuova cultura, creatrici di nuovo valore urbano. Le culture-based competition cities del XXI secolo saranno, infatti, quelle città in grado di competere nel panorama internazionale attraverso la valorizzazione e la promozione della propria identità culturale e la creazione potente di nuove identità urbane in evoluzione (Castells, 1997).